La zia Gigina, donna comune ma non troppo

Per la ricorrenza dell’8 marzo, vogliamo celebrare una donna della nostra famiglia di cui ancora non vi abbiamo mai parlato, ma di cui andiamo fierissimi. Una storia la sua, che non ha niente da invidiare alle fiction biografiche che ci appassionano alla televisione.

Luigina Pieroni o meglio la Zia Gigina, nacque nel 1912. Perse il padre durante la Prima Guerra Mondiale e per questo la mamma, dovendosi dedicare al lavoro, fu costretta a far crescere lei e la sorella Santina, presso il convento delle suore di clausura in via Pisacane. Qui impararono l’arte del ricamo e assistevano alla messa attraverso il matroneo dietro l’altare di San Rocco.

Con la maggiore età, lasciate le suore e il loro modo rigoroso di vivere, cominciarono a trovare il proprio posto nel mondo. Santina divenne modellista e fu poi l’insegnante di nostra mamma Maria, Luigina invece frequentò la scuola magistrale e successivamente andò all’università di lettere ad Urbino in un epoca in cui Carlo Bò a cui ora è dedicata, era ancora un giovane docente. Ad un passo dalla laurea, dovette però abbandonare gli studi, a causa dello scoppio del secondo conflitto mondiale. La sete di cultura non l’abbandonò mai e nonostante questa interruzione, diventò maestra e per anni andò in bicicletta ad insegnare ai bambini delle elementari. Appassionata d’archeologia e in particolare degli etruschi, approfittava delle vacanze estive, per partecipare attivamente alle campagne di scavo tra Volterra e Cerveteri. Suo compagno d’avventura fu nientemeno che il re di Svezia.

Scoprì un isediamento Piceno a Montedoro, grazie a qualche strano oggetto che i suoi alunni le portavano in classe. Attraverso frammenti di anfore e utensili di uso comune, ebbe l’intuizione che proprio sotto i campi coltivati dai genitori dei suoi ragazzi, si potesse nascondere un vero e proprio tesoro.

Fondò la sezione di Senigallia dell’Archeoclub di cui fu presidente fino all’ultimo e che oggi porta il suo nome. Alla “Signorina Pieroni” è intitolata anche la scuola elementare di Montignano, il nostro e suo paese d’origine.

Se solo sapesse che stiamo raccontando di lei, diventerebbe tutta rossa e farebbe di tutto per fermare questo nostro intento. Umile e timida, faceva ogni cosa per amore di conoscenza. Lei si sedeva sempre all’ultimo posto, non voleva farsi fotografare e nominare pubblicamente. Non aveva la patente, così organizzava viaggi per visitare mostre e conferenze e se poi non riusciva a fare numero, cominciava a pagare la quota di partecipazione a chiunque, pur di riuscire a partire con il pullman.

Ricordiamo calde giornate tra i campi polverosi, alla ricerca di ciottoli e terrecotte. I musei del territorio sono pieni dei suoi ritrovamenti. Durante le feste di Natale e Pasqua, passava le giornate a casa nostra e noi tutti incantati ad ascoltare le sue narrazioni pacate, che spaziavano dall’erboristeria alla storia, sua materia preferita. Consigliava ad Anna ancora bambina, di andare a Roma e studiare restauro. Intanto voleva sapere tutto di Lorenzo, impegnato con gli esami nella sua stessa università.

Ma il ricordo più forte è legato a quando l’andavamo a trovare a casa. Visse in affitto in un appartamento in centro storico a Senigallia, prima con la sorella e dopo la sua scomparsa, da sola. Si trovava in un vecchio palazzo del 1600 che conservava tutto lo scandire del tempo. Suonavi al citofono e dopo parecchio, sempre se era in casa, la sua vocina curiosa e fanciullesca, veniva a rispondere. Passati per l’enorme portone, la gigantesca scala barocca, in un gioco di imbuti sempre più stretti, si entrava nel suo mondo. Una piccola porta con la finestrella usata come spioncino, era l’ingresso che conduceva ad uno stretto corridoio in cui i muri erano tappezzati di libri e riviste fino al soffitto. Un rimando al suo lavoro da maestra, erano i festoni di carta che costruiva e appendeva in base alla stagione e alla festa da celebrare. Catene di stelle filanti, mascherine, pulcini, pupazzi di neve.. ad inebriarci intanto, c’era il profumo di erbe aromatiche e caffè. Sulla sinistra l’accesso alla cucina, una vecchia stanza in cui forno e fuochi si trovavano inglobati in una grande muratura rifinita da piastrelle in ceramica azzurra. Niente di questo ovviamente veniva utilizzato, bensì usato come libreria per contenere altre montagne di pubblicazioni. In un angolo sotto la finestra, un fornellino improvvisato per i piatti vegetariani che preparava e che ricorderemo sempre, il suo preferito era l’insalata di finocchio e arance. Immancabile la moca, sua più cara e intima amica. In quel luogo spesso la si trovava impegnata a dare ripetizioni gratis a ragazzini con difficoltà economiche.

Non vogliamo dilungarci ancora, solo dire di quante donne dietro la soglia delle nostre case, hanno amato appassionatamente non importa se persone o ideali, fatto sta che giorno dopo giorno, con le loro azioni più o meno eclatanti, hanno cercato di propagare l’onda prodotta dal sasso che esse stesse hanno lanciato nello stagno.